Prima parte
Per diventare veterinario si imparano tantissime nozioni all’università, ma non la percezione di ciò che stai per affrontare né come reagire al meglio per schivare i veri e propri rischi professionali. Sono cose che si assimilano col tempo, talvolta al costo di pagarle care sulla propria pelle. E per esperienza professionale posso dire che nemmeno trent’anni di professione possono salvarti.
Quel maledetto giorno di un novembre inoltrato, quando vidi sull’uscio dello studio la signora Serpero, ebbi subito la percezione che qualcosa sarebbe andato storto e che forse sarei finito in una strada senza uscita. Oramai ero come un topo in una trappola ed avrei iniziato di lì a poco a deglutire amaro.
La vera protagonista della storia è proprio la Signora Serpero, capelli grigi a caschetto, occhi gelidi, la parlata acida e acuta, in grado di perforarti il timpano, anche nelle sue innumerevoli telefonate in cui ero costretto a mantenere il cellulare a dieci centimetri dal mio orecchio per sopportare le sue urlate richieste. Ed erano anni che io dall’altra parte, sempre gentile e cortese,
eseguivo tutto ciò che mi veniva richiesto. Perché il cliente ha sempre ragione, questo è il detto.
La signora frequentava lo studio da più di quindici anni, portandomi però non gli animali di sua proprietà, ma quelli di persone con cui aveva un rapporto forse di tipo lavorativo o forse di tipo affettivo, uno strano legame su cui io non avevo mai indagato.
Quel martedì avrei avuto una giornata ben programmata che sarebbe partita con un intervento chirurgico fino a concludersi con una fitta serie di visite.
Mentre entravo inconsapevole in ambulatorio la cliente mi incalzò con un “Forza, forza”, senza essere preceduto da un educato buongiorno, come per dire “Ora ti voglio
vedere”.
Vidi subito la mia collega impegnata ad occuparsi di Alfred, il cane da caccia del Signor Malatesta, un signore alto, paffuto, scocche rosse perenni al volto, di buone maniere, quello che si definirebbe un pezzo di pane.
Mi era stato presentato una decina di anni prima proprio dalla signora Serpero.
Non dimenticai quello che raccontò di lui. Il signor Malatesta ne veniva da una brutta storia. Uno dei figli perse tragicamente la vita in alta montagna. Un dramma che se ti viene raccontato, non si può dimenticare. Per questo motivo avevo avuto sempre un occhio di riguardo per il cliente e per i suoi due cani. Nel corso degli anni li avevo dovuti operare entrambi e in particolare Alfred aveva dovuto subire tre anestesie.
Forse la storia drammatica del proprietario giustificava la continua ossessione per la salute dei suoi cani, soprattutto di Alfred, che aveva raggiunto i 10 anni di età e che quindi poteva rappresentare per il signor Malatesta qualcosa oltre la nostra comprensione.
La mia collega aveva compreso la gravità della situazione. Alfred aveva vomitato una sola volta per poi crollare a terra. Eseguì subito tutti gli esami del sangue che non rilevavano nessuna alterazione e mi invitò, appena concluso il mio intervento, a procedere con una ecocardiografia, dal momento che il cane mostrava un aumento anomalo della frequenza cardiaca e respiratoria. In
sequenza ci sembrava la cosa più giusta da fare, anche perché la palpazione dell’addome al momento non rilevava alcun dolore.
Con mia somma preoccupazione l’ecocardiografia evidenziava un cuore ipovolemico, cioè un cuore più piccolo del normale a causa di uno shock cardiocircolatorio dovuto alla perdita di liquidi. Questa situazione poteva giustificare anche la depressione del cane che mostrava una incoordinazione dei movimenti con una scarsa capacità di camminare. Iniziammo quindi subito una fluidoterapia in vena, una copertura antibiotica per la leggera febbre rilevata e una terapia antiemetica, visto che tutto era iniziato con l’episodio di vomito. Congedammo il proprietario con le istruzioni su come procedere, invitandolo a tenerci aggiornati.
Nel frattempo il male oscuro che attanagliava Alfred stava compiendo danni irreversibili. In pausa pranzo la signora Serpero, preoccupata, mi telefonò invitandomi a riesaminare il caso con ulteriori approfondimenti. Ma come in una partita a scacchi iniziata male, le cose si complicarono in modo inimmaginabile perché nello stesso tempo dovetti accettare un’ulteriore urgenza, per cui mi ritrovai di lì a poco con due casi critici, due cani in sala d’attesa, entrambi in decubito laterale, entrambi con difficoltà respiratorie. Alfred sembrava stare meglio rispetto al Golden Retriever che, ansimante, aveva un versamento emorragico tra le pleure. Mi dedicai quindi all’emotorace per tornare sul nostro Alfred a tarda sera, oltre l’orario di chiusura dello studio.
Tra le varie diagnosi differenziali non potevo escludere un’intossicazione, un tumore o l’ingestione di un corpo estraneo, per cui eseguii una radiografia e una ecografia addominale. L’rx non mi permise di confermare la presenza di oggetti visibili ai raggi, come sassi, ossa o metalli. L’ecografia evidenziava un ispessimento delle pareti intestinali e una piccola quantità di liquido all’interno
dello stomaco e dell’intestino.
E’ a questo punto che la tela di ragno in cui mi stavo districando, divenne una trappola mortale. Il ragno si stava avvicinando per dare il suo morso letale alla preda. Il colpo di scena fu l’entrata in campo dell’altro figlio del signor Malatesta, un medico di chirurgia generale e digestiva operante in una struttura ospedaliera all’estero, che a distanza stava attentamente seguendo tutta la vicenda e muoveva le sue pedine. Fu così che alle otto passate della sera dovetti subire una videochiamata sul tablet con il medico, cosa avvenuta senza nessuna gentile richiesta da parte del padre ma imposta in modo piuttosto aggressivo e sgradevole.
Tirai un respiro profondo, mantenni la calma e spiegai al collega la difficoltà del caso clinico, soprattutto di quanto potesse essere rischioso sottoporre il cane a una laparotomia esplorativa in una situazione cardiocircolatoria così instabile.
Mi chiese quindi se avessi potuto ricoverare Alfred. Risposi che come studio veterinario non avevo né l’attrezzatura adeguata né i permessi per poterlo fare e che avrei indicato due strutture dove rivolgersi.
“Figuriamoci se lo porto in quel posto !!” Esclamò seccata la Serpero con il suo sguardo inviperito. “So io dove portarlo !”
Il venerdì mattina la signora dagli occhi di ghiaccio mi telefonò urlando: “Dottor Ansaldo, Alfred è morto. Gli è stato asportato un nocciolo di pesca e dopo atroci sofferenze non ce l’ha fatta. Gliela faremo pagare. Si aspetti presto una denuncia !”
La lettera dell’avvocato arrivò inesorabile dopo dieci giorni. Il morso del ragno era giunto a segno e io stavo male. Sto male tutte le volte che non riesco a salvare delle vite ma qui ero tormentato dal momento che tutta la passione che quotidianamente metto nel mio lavoro veniva del tutto annichilita. Quei clienti mi avevano sfruttato per anni, finché tutto andava bene, ma ora, al primo
grosso intoppo ero improvvisamente diventato un incapace, non più in grado di operare in scienza e coscienza. La denuncia dell’avvocato lo esprimeva chiaramente nero su bianco, imputandomi una condotta negligente e imprudente e condannandomi al pagamento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali.
Ma perché quel cane, all’età di 10 anni, ha improvvisamente deciso di deglutire un nocciolo di pesca, quando di norma le pesche si trovano in piena estate ? Non è che Alfred, oltre al nocciolo possa aver ingerito qualcos’altro ? Non esiste forse una responsabilità da parte di chi gestisce l’animale, se questo mangia qualcosa di inappropriato ?
La mia testa cominciò a lavorare da quel giorno alla ricerca di risposte. Non mi aveva mai abbandonato l’idea che Alfred avesse ingerito un tossico, magari assieme a quel nocciolo, perché i suoi sintomi erano stati troppo repentini e gravi. Nel corso degli anni avevo salvato sia cani che gatti dopo l’asportazione dei più svariati corpi estranei, in situazioni talvolta veramente disperate con una peritonite già in atto. Che cosa quindi era realmente successo a quel cane ?
Perché la mia vocina interna non mi aveva condotto sulla giusta strada, sulla giusta decisione ?
Dovevo indagare. Scoprii che una casa editrice specializzata in libri di medicina e di veterinaria, aveva tradotto e pubblicato un testo americano sugli avvelenamenti negli animali domestici. Lo acquistai subito e lo divorai. Il colpo di scena avvenne quando lessi un paragrafo dedicato all’intossicazione da cianuro. Alfred aveva mostrato interamente tutto il corredo sintomatologico di
questo avvelenamento, la tachicardia, le difficoltà respiratorie, lo shock e i barcollamenti. E tra le varie fonti di veleno scoprii che esistono i semi cianogenetici di alcune piante, tra cui il pesco. Il nocciolo di questi vegetali contiene l’amigdalina, una sostanza che, a contatto con i succhi gastroenterici, si trasforma in acido cianidrico e quindi in cianuro. Una recente pubblicazione
scientifica della EFSA ( European Food Safety Authority) del 2016, ha dimostrato che appena tre noccioli di albicocca, un altro seme cianogenetico, possono raggiungere la dose letale per un essere umano adulto.
Chi si crede di sapere tutto risulta in realtà più ignorante di quanto si possa immaginare. Infatti il grande specialista, figlio del signor Malatesta, non ha voluto prendere in considerazione l’ipotesi dell’intossicazione. Altrimenti la denuncia non sarebbe arrivata in tribunale.
Mi piacerebbe rivelare la fine di questa triste storia, ma non ho la possibilità di dare la risposta perché, mentre scrivo queste righe, il procedimento legale è ancora in corso.
Ci fu però una svolta positiva, bella e inaspettata. La ricerca della verità, che mi spinge ad approfondire tutte le volte che mi trovo davanti a un caso difficile, mi rivelò forse cosa realmente provocò la morte di Alfred. Ma quello che chiuse il cerchio fu la giusta ispirazione che mi guidò nell’inviare tutti i miei racconti alla casa editrice che aveva dato la chiave di svolta alla vicenda. Fui sorpreso nel ricevere nel giro di pochi giorni una mail di risposta in cui si dimostrava un chiaro interesse alla pubblicazione di un libro di storie. Rimasi sorpreso soprattutto perché l’editore risultava specializzato in testi prettamente scientifici e non in romanzi. Il contratto venne firmato nel giro di poche settimane.
Certo Alfred non c’è più, il mio rapporto con dei clienti storici si è incrinato in modo definitivo. Ma probabilmente senza quella denuncia e la mia costante ricerca della verità, i miei racconti non avrebbero mai avuto una diffusione adeguata. La capacità di reagire agli eventi, anche quelli più brutti, può tirare fuori risorse incredibili. Dal mio punto di vista posso ritenermi soddisfatto
nell’aver incanalato l’energia malefica della signora dagli occhi di ghiaccio in una forza positiva.
Sul detto “Il cliente ha sempre ragione” oggi ho dei seri dubbi, ma rivaluto il proverbio secondo cui “tutto il male non viene per nuocere”.
L’importante è saper reagire nel modo giusto.
Seconda parte
Sono trascorsi ben 3 anni dalla morte di Alfred senza ancora arrivare ad una conclusione definitiva.
Difficile ad oggi dare un epilogo alla vicenda, soprattutto a causa delle lungaggini burocratiche della macchina giudiziaria. Sono stati nominati i periti di parte per analizzare gli avvenimenti nei minimi dettagli. La perizia della controparte ha cercato di arrampicarsi sugli specchi per tentare di scalfire la mia assoluta innocenza.
Il consulente super partes ha invece dimostrato la mia totale assenza di responsabilità. Nonostante ciò il giudice più volte ha invitato le parti a raggiungere un accordo, cosa che non ha mai visto la mia benedizione. Verrà così emessa una sentenza nel prossimo futuro.
Mi risulta difficile non rimuginare spesso su quanto accaduto, magari nelle notti insonni.
Fu proprio in un ribollire di pensieri che in modo del tutto inaspettato, come un fulmine a ciel sereno, riaffiorò dalla mente una frase che molto incautamente era stata pronunciata da un collega anni prima.
“Vedi, io mi tengo sempre pronto in un cassetto un nocciolo di pesca. Così se devo operare un cane con sospetto di corpo estraneo e non trovo nulla, ho un reperto pronto disponibile, tra l’altro non visibile radiologicamente dalle lastre”.
Affascinante pensare come i meandri della memoria possano lavorare, registrare quello che ti è stato detto decenni prima, e rigurgitare fuori le informazioni quando meno te lo aspetti.
Quello che la mente non mi ha però permesso di ricordare è il viso del collega
che sentenziò la frase. Permarrà la sgradevole sensazione di averlo conosciuto ma la sua faccia rimarrà, fino ad oggi, senza un volto.
Terza parte
Rividi il signor Malatesta solo una volta quando venni convocato in tribunale. Non aveva il coraggio di guardarmi negli occhi. Chissà se si trovava lì per sua ferma convinzione o se perché spinto dai suoi cattivi consiglieri.
Io ero sereno, spalleggiato dal mio avvocato e da Dany, sempre presente nei momenti di difficoltà.
E poi c’era quel collega, che aveva eseguito l’intervento, il cui operato non era mai stato messo in discussione.
Mia moglie mi fece notare che, dopo aver risposto alle domande del giudice e degli avvocati, uscì dall’aula come se fosse un cane bastonato.
Chissà poi perché.
Dopo vari tentativi di mediazione da parte del giudice, sempre rifiutati dai miei legali, e dopo tre anni e mezzo dall’accusa, arrivò finalmente la sentenza definitiva, che dichiarava la mia assoluta innocenza.
Il mio operato è stato vivisezionato millimetro per millimetro dalla controparte, e bastava un minimo errore da parte mia per ribaltare il verdetto, con importanti conseguenze economiche, ma soprattutto con influssi negativi sulla mia dignità professionale.
Ora dalla mia posizione posso guardare il campo di battaglia. In realtà non vedo né vincitori, né sconfitti.
Tutti abbiamo perso qualcosa. Ognuno di noi adesso non è più quello di prima